Torna indietro NEGATIVO AI TEST VUOL DIRE "PULITO"? Torna alla Home Page

Dal prof. Dario D’Ottavio, uno dei massimi esperti dell’antidoping italiano, consulente di vari pm in indagini doping, nonché già membro della Cvd, la commissione di vigilanza sulla legge 376, riceviamo e pubblichiamo questo intervento su un tema interessante e sempre d’attualità: un atleta che supera un controllo antidoping può dirsi un atleta pulito al 100%?
La realtà sembra essere ben diversa

Ho partecipato qualche tempo fa ad una trasmissione RAI in cui ho espresso un parere personale e cioè che il fatto di aver superato uno o più test antidoping non vuol dire necessariamente per un atleta essere pulito. Questo per vari motivi che voglio spiegare anche in risposta alla contestazione avuta in trasmissione da un luminare della medicina, collaboratore su molti fronti del mondo sportivo, dunque interno ad esso; contestazione cui, come purtroppo spesso accade in certe trasmissioni, non ho potuto rispondere immediatamente. Ma, siccome ritengo che il tema sia interessante e importante anche per dare un senso e un indirizzo nuovo ad una lotta al doping che - fatta così com’è fatta nel mondo dello sport - è sempre meno incisiva. Un meccanismo di facciata dall’efficienza minima.
Il “problema doping” è un problema importante e dovrebbe essere affrontato in modo rigorosamente scientifico. Demagogia e superficialità sono estremamente pericolose quando si ha a che fare con argomenti che interessano e coinvolgono direttamente la salute delle persone, un bene tutelato dalla nostra costituzione.
Un atleta “negativo” ai controlli antidoping potrebbe non essere “sicuramente” pulito, secondo me. Vediamo perché.
In primo luogo (doping invisibile) alcune molecole non possono essere attualmente rilevate con gli attuali strumenti a disposizione (vedi insulina) e per altre molecole (vedi h-rgh) i test disponibili sono in grado di poter evidenziare un “doping” recente e recentissimo, non quello pregresso, data la bassa permanenza di talune sostanze nell’organismo.
Altre molecole, aventi caratteristiche farmacologicamente “simili” a quelle vietate, non sono classificate esplicitamente come “proibite” (doping nascosto) e si presume quindi non vengano nemmeno ricercate.
La prima conclusione è che si possa ragionevolmente affermare che l’atleta è “begativo” soltanto per quelle sostanze che vengono ricercate dal Laboratorio. Ma per quelle non ricercate? Ecco il primo dubbio.
C’è poi un altro fattore importante da considerare. Dal momento che non esistono metodi “assoluti” (metodi e strumenti che consentano la determinazione di una singola molecola) ciascun metodo adottato ha una sua “sensibilità”, che è relativa alle molecole che si vogliono determinare.
Vediamo cosa si intende scientificamente per “sensibilità analitica” e/o “rivelabilità. La sensibilità analitica è la più bassa quantità di campione che può essere rilevata ad un determinato livello di probabilità. E’ quindi implicito che al di sotto di questo livello, pur se la molecola è presente, non si è in grado di poterla rilevare con certezza.
Quando si potrebbe verificare questa situazione?. Ovviamente quando c’è stata una assunzione pregressa, magari lontana dal momento del prelievo del materiale organico analizzato. In questi casi l’atleta può praticamente eliminare quasi tutta la sostanza assunta.
In altri termini: se un metodo è in grado di poter evidenziare una sostanza quando la sua concentrazione è pari a 100 (l’unità di misura in questo caso è ininfluente) è chiaro che al di sotto di questo valore (90, 50, 30 etc.) la risposta del metodo sarà certamente negativa. Eppure la sostanza potrebbe essere presente nel campione. Non c’è certezza dell’ “assenza” ma soltanto una elevata probabilità che la sostanza sia assente.
Si dice: ma gli strumenti adottati dai laboratori antidoping hanno una £”elevata sensibilità”. Ma questo non è sufficiente per avere una risposta efficace. Accanto allo strumento, occorre avere a disposizione anche un metodo analitico altrettanto efficace.
Volgarizzando il concetto di sensibilità, per poterlo meglio comprendere, provate a far percorrere ad una macchina (in discesa) una distanza di 60 metri in un’ora (1 metro al minuto). Potrete facilmente costatare che il contachilometri resta fermo sullo zero. Perché lo strumento non è in grado di registrare al di sotto di certe velocità. Eppure la macchina non è ferma ma si muove. Ci troviamo, in questo caso, a che fare con uno strumento a “bassa sensibilità”.
E, di fatto, uno dei metodi su cui si fonda un certo tipo di imbroglio e di doping è proprio quello di stare al di sotto della sensibilità strumentale per certe sostanze (vedi diuretici). Un obbiettivo che si può raggiungere con varie tecniche, conosciute, ma che qui non intendo pubblicizzare. Il Prof. Papin (illustre chimico francese con cui ho collaborato nell’analisi delle sostanze sequestrate nel “blitz” di Sanremo 2001) mi confidò che in Francia erano state sequestrate delle fiale contenenti oltre 50 molecole dopanti diverse. A che scopo si ricorre a questo tipo di preparazioni se non per scendere al di sotto della sensibilità strumentale? Ecco un altro motivo per cui la negatività al controllo può non voler dire “pulizia”.
Ecco perché, sostengo che il termine “negativo” deve essere considerato come “negativo al di sopra di una determinata concentrazione” che corrisponde alla sensibilità del metodo.
Non basta. Poi ci sono anche le ben note tecniche per eludere i controlli (cateterizzazione, ecc.). Tirando le somme: se sia pura demagogia, superficialità scientifica affermare che un atleta “negativo” ai controlli antidoping sia “sicuramente pulito” lo lascio decidere a chi legge.


Torna su