Torna indietro LE PRATICHE IPOSSICHE SIMULATE Torna alla Home Page

L' AUTOGOL DELLA WADA

Dal dott. Benedetto Ronci, affermato ematologo clinico presso l'ospedale S. Giovanni Addolorata di Roma, nonché consulente scientifico in svariati processi doping, riceviamo questo prezioso contributo sulle pratiche ipossiche simulate. Si tratta di un problema che riguarda l'uso nello sport di quelle macchine che, attraverso la simulazione dell'altura, stimolano il fisico dell'atleta a produrre più eritropoietina endogena, dunque più globuli rossi per il sangue. Macchine assurte agli onori delle cronache durante il Giro d'Italia 2005, quando, nel rispetto dei dettami della legge antidoping italiana, i Carabinieri sequestrarono l'Altitrainer (questo il nome dell'oggetto) ad una squadra belga. Da allora l'Altitrainer ha fatto discutere a lungo perchè, pur rientrando a pieno titolo nel novero delle pratiche proibite dalla legge 376/2000, tuttavia non era chiara la situazione sul piano sportivo, visto che per alcune alcune federazioni nazionali l'uso non era proibito. La Wada, richiesta di un parere decisivo in merito, ha preso - come suole fare da qualche tempo in qua - una decisione a metà. Per l'organismo sportivo internazionale (un organismo privato) macchine come l'Altitrainer possono essere usate dagli sportivi. Anche se, come riconoscono gli stessi esperti l'uso può influire sulla prestazione migliorandola e presenta dei rischi per la salute dell'atleta. Insomma si tratta del solito compromesso: un sì con riserva, perchè comunque la pratica non è considerata eticamente accettabile.Si tratta, come suggerisce con una battuta molto azzeccata il dott. Ronci, di un vero e proprio autogol. Infatti, nel Codice antidoping mondiale, approvato da quasi tutte le nazioni, una sostanza o una pratica deve essere inserita nella lista dei divieti quando risponde almeno a DUE di questi TRE criteri:
1) Se c'è evidenza medica o scientifica degli effetti farmacologici o pratici che le sostanze e i metodi in esame abbiano IL POTENZIALE di migliorare la performance atletica
2) Se c'è evidenza medica o scientifica degli effetti farmacologici o pratici che l'uso di dette sostanze o metodi in esame rappresenti un ATTUALE o POTENZIALE rischio per la salute dell'atleta
      
3) Se c'è evidenza medica o scientifica degli effetti farmacologici o pratici che dette sostanze o metodi in esame abbiano il potenziale di mascherar l'uso di altre sostanze o metodi proibiti

E' evidente come da chiare ricerche scientifiche l'uso di pratiche ipossiche artificiali o simulate rientri pienamente in almeno due di questi criteri. Dunque dovrebbe rientrare nelle pratiche proibite. E' evidente, altresì, l'ambiguità dell'ente antidoping mondiale. Insomma, si fanno regole che poi vengono sistematicamente stiracchiate, rabberciate, confutate, contraddette. Non si capisce perchè. O si capisce benissimo.

Nella Lista delle sostanze e metodi proibiti nello sport, elaborata ed approvata dalla WADA (L’agenzia mondiale anti-doping) già a settembre 2006 e che entrerà a regime a gennaio 2007, non saranno ancora contemplate le cosiddette pratiche ipossiche che, sebbene non siano proibite in molte nazioni, sono invece già da alcuni anni bandite in Italia ed in Norvegia, nonostante autorevoli dirigenti sportivi mondiali, tra cui il presidente del comitato olimpico internazionale, Jacques Rogge, abbiano manifestato l’idea di riconsiderare la legalità e l’eticità sportive di tale pratiche. Più precisamente il Comitato scientifico della WADA, in un recente comunicato, ha stabilito che non ricorrono le condizioni tali da inserire le cosiddette “simulate altitudini,” ovvero le condizioni ipossiche simulate artificialmente, nella Lista 2007 delle pratiche e metodi proibiti nello sport. Tuttavia, nello stesso comunicato, il Comitato in questione esprime due giudizi in merito al problema che in realtà risultano essere, per dirlo in termini sportivi, due autentici autogol.
1°: Il Comitato, sulla base di una disamina della letteratura scientifica vagliata dai propri esperti, afferma che le pratiche ipossiche potrebbero essere in grado di aumentare (artificialmente) la performance atletica;
2°: Il Comitato scientifico esprime una certa preoccupazione sull’impatto negativo che tale pratica potrebbe avere sulla salute dell’atleta.
Sorge allora la naturale domanda: perché non inserire da subito tale pratiche nella Lista proibita della WADA? Mi resta difficile comprendere infatti i motivi di tale reticenza se non altro perché dovrebbe essere sufficiente il “buon senso” per bandirle, soprattutto se vengono espressi “dubbi” sia: 1) che tali metodi possano essere in grado di aumentare artificialmente la performance atletica e, soprattutto, 2) sulla sicurezza per la salute dell’atleta. In qualità di ematologo, che ha avuto modo di approfondire e vagliare la letteratura scientifica a riguardo, vorrei cercare di dare delle risposte chiare a questi due fondamentali quesiti.

Primo: Le condizioni ipossiche simulate sono in grado di aumentare (artificialmente) la performance atletica?
In particolare, possono essere in grado di aumentare la massa di globuli rossi circolanti attraverso uno stimolo eritropoietinico indotto dall’ipossia e quindi rientrare fra le pratiche proibite, come recita il punto b dell’articolo M1 della Lista delle sostanze e metodi proibiti che vieta “tutte le pratiche che aumentino artificialmente il trasporto e/o la disponibilità dell’ossigeno” ?
I lavori scientifici degli effetti delle simulate altitudini sulla performance muscolare, sull’apparato cardio-respiratorio e soprattutto sulla produzione di eritropoietina endogena e quindi sulla massa dei globuli rossi, sono numerosissimi. La stragrande maggioranza però di tali studi mostra due limiti fondamentali:
1° sono difficilmente comparabili tra loro perché i cosiddetti “protocolli” di simulazione delle altitudini utilizzati negli studi risultano assai diversi sia per il sistema di simulazione utilizzato (camera ipobarica/ipossica, esposizioni intermittenti a diversi gradi di ipossia corrispondenti a diverse altitudini: 2500, 3000, 4000 fino ad oltre 5000 mt), sia per la frequenza e durata dell’esposizione (da pochi minuti al giorno, a diverse ore o giorni o persino notti di esposizione a condizioni di ipossia per un periodo variabile da 3 fino a 4-6 settimane) e sia per il numero, piuttosto esiguo, degli atleti reclutati e quindi di scarsa valenza statistica;
2° la stragrande maggioranza dei lavori manca del cosiddetto “gruppo di controllo”, cioè di un corrispondente numero di atleti paragonabili per età, sesso, tipo di disciplina, livello di preparazione non sottoposti invece alle simulate altitudini. Tale gruppo di controllo (che viene detto gruppo “placebo”) è indispensabile in tutti i lavori scientifici al fine di una corretta validazione dei risultati ottenuti. E’ evidente pertanto che le conclusioni di tutti questi studi, spesso aneddotici, siano talvolta contrastanti e generano una grande confusione sui reali possibili effetti sull’organismo delle condizioni ipossiche simulate.
Ma c’è un altro problema che riguarda più specificatamente l'entità dello stimolo ipossico necessario per attivare la produzione di eritropoietina (EPO) endogena, l’ormone naturale prodotto dal rene in risposta alle condizioni di bassa concentrazione di ossigeno anche ambientale. Bisogna sottolineare che è stato scientificamente provato che esiste una “soglia” di ipossia ambientale (ovvero di altitudine) oltre la quale viene stimolata una sostenuta e duratura produzione di EPO. Questa soglia è rappresentata da uno stimolo ipossico corrispondente ad una altitudine maggiore di 2000 mt. (2100-2500 mt). Al di sotto di tale soglia gli effetti sulla produzione di EPO sono modesti e soprattutto non duraturi nella maggior parte degli individui. A questo proposito è stato altresì dimostrato che esiste una marcata variabilità tra gli individui nella risposta eritropoietinica allo stimolo ipossico e quindi anche all’allenamento in altitudine, compresa quella simulata. Vi sono cioè alcuni soggetti e, quindi anche atleti, in cui si verifica un considerevole aumento, anche del 100%, del livello ematico di EPO endogena per esposizioni, se adeguatamente prolungate, anche di poco superiori a 1700 mt, mentre altri soggetti non incrementano i livelli dell’ormone a quote anche di molto superiori a 2500 mt. E’ evidente pertanto da quanto detto come sia particolarmente difficoltoso pianificare studi sulla capacità o meno delle simulate altitudini nell’aumentare la produzione di eritropoietina e quindi la massa dei globuli rossi. Sarebbe necessario infatti reclutare un numero elevato di atleti per una valutazione corretta dei risultati, poiché, con un numero troppo esiguo di individui studiati, la presenza casualmente predominante di soggetti che costituzionalmente non rispondono allo stimolo ipossico con la produzione di EPO, porta inevitabilmente ad una deviazione dei risultati erroneamente in favore di una mancata risposta eritropoietinica.
Un altro aspetto che deve essere sottolineato quando si parla di stimolo ipossico è poi quello della durata dello stimolo. Uno dei pochi studi scientifici condotti su atleti d’elite con un gruppo di controllo paragonabile per età, sesso e capacità muscolari, è un lavoro collaborativo tra Ricercatori dell’Istituto Australiano dello sport e Ricercatori del Comitato Olimpico Americano e dello Istituto Internazionale della medicina dello sport pubblicato nel 2004 su Journal of Applied Physiology (J Appl Physiol., 2004 May; 96(5): 1800-7). In questo lavoro si dimostra come intermittenti stimoli ipossici ( il cosiddetto IHT=Intermittent Hypoxia Trainig un metodo di altitudine simulata sviluppatosi per la prima volta in Russia circa 60 anni or sono) di pochi minuti (5 minuti), alternati ad altrettanti minuti di normale concentrazione di ossigeno ambientale a riposo per 70 minuti con una frequenza di 6 volte alla settimana per 4 settimane, non siano in realtà capaci, se il metodo viene correttamente valutato ed esaminato in maniera randomizzata ed in doppio cieco con un gruppo placebo di controllo, di modificare sostanzialmente i parametri ematologici esaminati prima, 1 e 3 settiamne dopo lo stimolo, né tanto meno di aumentare la performance in 7 atleti (maratoneti) ben allenati e di alto livello confrontati con un gruppo (placebo) di 7 maratoneti, dello stesso livello, ma sottoposti ad una respirazione con una normale concentrazione di ossigeno durante tutte le 4 settimane dello studio. In realtà sulla base delle attuali conoscenze sulla fisiopatologia della risposta biologia allo stimolo ipossico questo risultato non deve sorprendere. Infatti se lo stimolo ipossico non è sufficientemente prolungato, il repentino ripristino di una normale concentrazione di ossigeno nell’organismo non consente una definitiva attivazione di tutti quegli adattamenti che l’organismo mette in atto in risposta all’ipossia (produzione di eritropoietina con aumento della massa dei globuli rossi, modificazioni metaboliche con potenziamento della capacità di utilizzare gli zuccheri anche in condizioni di bassa concentrazione di ossigeno ambientale, la cosiddetta glicolisi anaerobia, in modo da poter produrre un’addizionale risorsa di energia etc. etc.).
A questo punto è giunto il momento di rispondere al primo quesito: le simulate altitudini sono capaci di migliorare la performance atletica e/o di modificare artificialmente i parametri ematologici di un atleta? Da quanto esposto, tale domanda ha necessariamente due risposte. Dipende dall’entità dello stimolo ipossico e dalla durata. In altri termini sulla base di consolidati principi ematologici, uno stimolo ipossico corrispondente ad una altitudine di oltre 2000 mt (2100-2500 mt), sufficientemente prolungato (>12 ore al giorno per almeno 3 settimane) è in grado di determinare, nella maggior parte dei soggetti esposti, un aumento della produzione di EPO e quindi della massa dei globuli rossi con conseguente aumento della performance muscolare specialmente di resistenza. Stimoli ipossici di entità inferiore e/o di breve durata non hanno probabilmente effetti significativi sui parametri ematologici e neanche sulla performance atletica almeno nella maggior parte degli individui.

Secondo: Le condizioni ipossiche simulate possono essere dannose per la salute dell’atleta?
Se in tutte le pratiche di ipossia simulata, con l’obiettivo di aumentare l’efficienza atletica, viene raccomandato sempre uno stretto controllo medico, è evidente che tale pratiche tanto innocue non possano esserlo. Infatti una ipossia troppo prolungata o comunque non sufficientemente controllata, può avere un effetto deprimente sul rendimento cardiaco, sul flusso sanguigno ai muscoli scheletrici, sul sistema nervoso centrale e persino sul sistema immunitario. Inoltre, oggi sappiamo che i meccanismi biologici che regolano la risposta dell’organismo agli stimoli ipossici si concentrano alla fine, indipendentemente dalla natura e durata dello stimolo ipossico, su un mediatore di natura proteica, una proteina presente in tutte le cellule del nostro organismo che è denominato FATTORE INDUCIBILE DELL’IPOSSIA (HIF). Questa proteina la potremmo definire il “termostato” dell’ossigeno presente nell’organismo che si “accende” quando i livelli di O2 ematico si riducono in modo da attivare geneticamente tutti i possibili meccanismi biologici (metabolici, muscolari, cardiorespiratori ed ematologici) in grado, qualora però persista la condizione di ipossia, di aumentare la resistenza delle cellule. Ma uno “stress” ipossico di breve durata, ancorché non in grado di determinare significative modificazioni muscolari, metaboliche o ematologiche, è sempre però capace di indurre istantaneamente una attivazione di tale fattore che entra nel nucleo delle cellule promuovendo una vera e propria “perturbazione” genetica. Si calcola che sono circa 70 i geni bersaglio dell’HIF. Tra questi vi sono i geni che presiedono alla produzione di eritropoietina, geni che promuovono la sintesi di enzimi preposti al metabolismo del glucosio in condizioni di bassa concentrazione di ossigeno, geni preposti alla produzione di nuovi vasi sanguigni ma anche geni preposti alla crescita, proliferazione e vitalità delle cellule. Negli ultimi anni allora si è ipotizzato un possibile ruolo di tale fattore nella crescita e nella diffusione nell’organismo di tumori e vi sono in corso studi clinici sull’utilizzo di farmaci capaci di inibire tale fattore con l’obiettivo di valutarne l’effetto anti-tumorale. Pertanto non si può escludere che una “parossistica” e reiterata perturbazione genetica indotta da tale fattore in risposta a stimoli ipossici non fisiologici, quali quelli realizzati con le altitudini simulate, possa, a lungo termine, esitare o facilitare, in soggetti predisposti, lo sviluppo di tumori.
Voglio ricordare, per rimanere nell’ambito dell’uso di sostanze terapeuticamente efficienti ma utilizzate sconsideratamente anche come sostanze dopanti nello sport, come nell’ambiente medico per anni la terapia con eritropoietina, introdotta alla fine degli anni ‘80 ed impiegata soprattutto in soggetti con anemia da insufficienza renale cronica, sia stata considerata notevolmente sicura. Ma nel 2002 il Dr. Nicole Casadevall e suoi collaboratori del Dipartimento di Ematologia e di Medicina Nucleare dell’ospedale Hotel-Dieu di Parigi pubblicarono, sulla prestigiosa rivista scientifica The New England Journal of Medicine (N Engl J Med 2002;346:469-75), una serie di 13 casi di aplasia selettiva della serie rossa, cioè un danno grave della matrice del midollo osseo preposta alla produzione dei globuli rossi, indotta da anticorpi anti-eritropoeietina prodotti per effetto della terapia con EPO esogena, che ha costretto molti pazienti a diventare dei soggetti trasfusione-dipendenti. Da allora sono stati segnalati oltre 200 soggetti che nel mondo hanno sviluppato questa grave complicanza, comunque per fortuna relativamente rara, della terapia eritropoietinica. In generale questo è uno dei tanti episodi ricorrenti nella storia della medicina: la comparsa cioè di effetti assai pericolosi per la salute dell’individuo a causa di nuove terapie, benché approvate da studi clinici controllati ma, evidentemente, non sufficienti a garantire l’assoluta sicurezza a lungo termine. Ecco perché ritengo, rispondendo al 2° quesito, che pratiche quale quelle ipossiche per le quali già a mio avviso esistono delle valutazioni scientifiche sufficienti a dimostrare o anche solo a supporre la loro non innocuità, specialmente se valutata a lungo termine, debbano essere bandite soprattutto come metodi di allenamento sportivo.

Dr. Benedetto Ronci
Ematologo-clinico
Azienda ospedaliera S. Giovanni-Addolorata
Roma

 

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