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ALLARME DOPING: ARRIVANO LE EPO "BIOSIMILARI"
RONCI: "SONO INCONTROLLATE, DUNQUE MOLTO PERICOLOSE"

Da Benedetto Ronci, illustre ematologo dell'aziende ospedaliera San Giovanni Addolorata di Roma, riceviamo questo prezioso contributo. Un preoccupato allarme circa l'arrivo sul mercato delle nuove eritropoietine "biosimilari": alcune contengono prodotti nocivi. Rischi elevatissimi per la salute 

Da circa 20 anni l’armamentario terapeutico di alcuni importanti settori della medicina quali l’oncologia, l’ematologia, l’immunologia ed altri ancora si sono arricchiti di una nuova famiglia di farmaci denominati “biofarmaci”, attualmente diventati irrinunciabili per la terapia di molte patologia gravi e potenzialmente letali. Dei biofarmaci infatti fanno parte molti antitumorali innovativi, alcuni ormoni (insulina, ormone della crescita), proteine della coagulazione (fattore VIII antiemofilico) e i cosiddetti “fattori di crescita” tra cui l’eritropoietina o meglio, le eritropoietine dal momento che in Italia attualmente sono disponibili in commercio tre tipi di eritropoietine (Epo): l’ Epoetina alfa, L’Epoetina Beta e la darboepoetina. Quest’ultime sono utilizzate per il trattamento dell’anemia nei soggetti con insufficienza renale cronica che, ancora oggi, rappresenta l’indicazione terapeutica principale, avendo migliorato significativamente la sopravvivenza e, soprattutto, la qualità di vita di questi pazienti . Come traspare dal termine, i biofarmaci sono macromolecole di natura proteica, assai complesse, prodotte “biologicamente” ossia da vere e proprie cellule viventi attraverso delicate tecniche di ingegneria genetica. Per esempio le eritropoietine vengono prodotte da cellule ovariche di criceto dopo che nel loro DNA, che è una sorta di “carta carbone” delle proteine, è stato inserita l’informazione genetica, lo “stampo”, per la sintesi di questo ormone. Le cellule di criceto, così “modificate”, in idonei terreni di coltura, sono in grado di produrre l’eritropoietina in quantità praticamente illimitata. Questo è sostanzialmente il segreto industriale dei biofarmaci, noti anche come prodotti biotech in quanto derivati da processi biotecnologici. Dal 1982, anno in cui fu messo in commercio il primo prodotto biotecnologico (l’insulina umana ricombinante), attualmente sono oltre 190 i biofarmaci commercializzati in Nord America, Europa, Australia e Giappone e sono in corso di sperimentazione oltre 300 biotech per la cura di molte patologie gravi. E’ evidente, pertanto, che si tratta di una importante famiglia di nuovi farmaci in rapida espansione proprio in virtù della loro riconosciuta efficacia terapeutica. Ma anche il peso economico di questi farmaci è importante. Nel 2007, secondo dati forniti dall’AIFA (L’Agenzia Italiana del Farmaco), la spesa per i prodotti biotech è stata di 1,6 miliardi di euro pari al 37% della spesa totale ospedaliera che, lo scorso anno, è stata di 4,6 miliardi di euro. Ma nel frattempo che cosa è successo? È successo che i biofarmaci di cosiddetta prima generazione, cioè quelli messi in commercio alla fine degli anni ottanta, tra cui l’Epo alfa e l’Epo beta, hanno perduto la copertura brevettale. Infatti, dopo 10-15 anni dalla messa in commercio di un prodotto biotech, il brevetto decade e l’ Azienda produttrice perde l’esclusività. Questo, allora, permette ad altre Ditte, la produzione e, previa autorizzazione, la messa in commercio a costi competitivi, cioè a più basso costo rispetto ai biofarmaci originali, di “nuovi” prodotti biologici che sono stati definiti dall’EMEA (l’agenzia Europea per la valutazione del farmaco) “biosimili” o biosimilari” in riferimento ad un prodotto biotech già autorizzato dalla comunità Europea, poiché non possono essere “uguali” al biofarmaco originatore in virtù della intrinseca unicità di ogni processo biologico. Per meglio chiarire questo fondamentale punto, è necessario tenere presente che la produzione di un prodotto biotecnologico si sviluppa attraverso complesse fasi che è impossibile riprodurre in 2 stabilimenti biotecnologici diversi poiché le linee cellulari che vengono utilizzate come sorgente di una determinata molecola crescono,nel terreno di coltura, generando ceppi diversi nei diversi laboratori. Ne deriva che il prodotto finale potrà avere caratteri simili ma non identici al prodotto biotecnologico di riferimento. Ma se i biosimilari sono simili ma non uguali ai biofarmaci di riferimento che si può dire della loro efficacia e, soprattutto, della loro sicurezza? In altri termini ci si può accontentare, sotto il profilo della efficacia terapeutica e, soprattutto, della sicurezza per i pazienti, che un prodotto biotecnologico sia “soltanto” simile ad un corrispondente biofarmaco la cui efficacia e sicurezza è consolidata da molti anni di utilizzo? Bisogna tener presente, infatti, che, al momento, non esiste un test analitico in grado di verificare preliminarmente se due prodotti biotecnologici provenienti da due diverse linee di produzione, abbiano gli stessi effetti terapeutici e/o gli stessi effetti collaterali. Quindi è possibile che un biosimilare possa non solo non funzionare esattamente come il biofarmaco di riferimento, ma può costituire un potenziale rischio di nuovi ed imprevedibili effetti collaterali, sollevando così molte perplessità relativamente alla sicurezza. Per questi motivi l’EMEA ha stabilito che per i biosimilari, ai fini della cosiddetta autorizzazione all’immissione in commercio (AIC), sono indispensabili preliminari ed adeguati studi comparativi con i prodotti biotech di riferimento, sia di tipo farmacologico ma, soprattutto, di tipo clinico con l’obiettivo di dimostrare, con sufficiente robustezza, un analoga efficacia terapeutica ed una altrettanta sicurezza per i pazienti. Inoltre, dopo l’eventuale approvazione e commercializzazione, è richiesto che quel prodotto venga inserito in una “lista di monitoraggio intensivo” cioè di farmacosorveglianza per almeno i 2 anni successivi alla messa in commercio, al fine di identificare al più presto eventuali effetti collaterali nocivi. Ma nei fatti come vanno le cose? Ci sono in Italia i farmaci biosimilari? Il nostro Paese ha assunto fino ad oggi un atteggiamento ragionevolmente prudente, sebbene biosimili siano già arrivati e siano disponibili in Europa mentre negli USA nessuna molecola ha ricevuto l’approvazione. In Italia al momento è presente un solo farmaco biosimilare , il GH: l’ormone della crescita mentre non vi sono ancora biosimilari in campo oncologico. Recentemente, lo scorso febbraio, ha ricevuto l’approvazione un biosimilare dell’Epo alfa (nome commerciale Binocrit prodotto dalla Sandoz), che è pronto per essere immesso sul mercato. In realtà eritropoietine biosimilari sono disponibili in Croazia e Romania e, soprattutto, già da alcuni anni sono in commercio in molti paesi dell’ Asia e del Sud-America (India, Corea, Iran, Vietnam, Thailandia, Filippine, Brasile, Argentina, Venezuela) E’ peculiare che si tratti di Paesi a basso regime economico o in via di sviluppo che, quindi, hanno scarse risorse economiche disponibili per garantire processi produttivi di alto costo quale quelli richiesti dalla biotecnologia. Ma allora questi prodotti sono, per così dire, sufficientemente“buoni”? Diversi studi di confronto sono stati eseguiti sui biosimilari dell’eritropoietina. Per esempio in Brasile un analisi di 12 biosimili dell’eritropoietina prodotte da 5 ditte farmaceutiche, condotta dall’Agenzia Nazionale di Vigilanza Sanitaria (ANVISA), ha riportato che la potenza di attività tra i biosimili esaminati, variava dal 68% al 119% , c’era inoltre una sensibile variabilità nella composizione biologica e, dato preoccupante, in 3 dei prodotti esaminati venivano riscontrate contaminanti nocivi (endotossine batteriche!!), tanto che l’Autorità regolatoria brasiliana ha sospeso l’importazione di 2 eritropoietine alfa prodotte da una ditta faramaceutica. Una più recente analisi di 11 eritropoietine biosimilari ha prodotto analoghi risultati ed ulteriori dati preoccupanti sono emersi dall’analisi di ben 47 campioni di biosimili dell’eritropoietina prelevati da diverse farmacie di Argentina, Brasile, India, Indonesia, Iran, Giordania, Filippine, Thailandia, Venezuela, Vietnam, Libano e Nigeria che ha dimostrato numerose inappropiatezza rispetto alle specifiche della Unione Europea per l’epoetina alfa. Tali difformità possono portare a sottodosaggi o a sovradosaggi ed al rischio di effetti collaterali nocivi, imprevedibili e gravi. Bisogna quindi fare molta attenzione ed essere molto cauti in merito alla commercializzazione ed all’utilizzo di questi prodotti biologici. L’EMEA stessa ha rivisto recentemente ( comunicato stampa dello scorso Agosto), le linee guida relative allo sviluppo ed all’autorizzazione al commercio di biosimili dell’eritropoietina raccomanadando per la dimostrazione dell’efficacia una durata degli studi clinici di almeno 6 mesi, sempre in comparazione con il biofarmaco di riferimento mentre per i dati relativi alla sicurezza, una durata degli studi clinici di almeno 12 mesi. Da notare che tale comunicato avviene dopo ormai l’approvazione in Italia di un biosimile dell’Epo alfa avvenuto a febbraio 2008!! Ma c’è un altro aspetto importante che non è stato ancora considerato: quello del doping con biosimili dell’Epo. Infatti poiché questi farmaci sono biologicamnet diversi dall’eritropoietina tradizionale, non sono rintracciabili o riconoscibili utilizzando le metodiche specifiche e note per l’individuazione dell’Epo. Infatti ciascun biosimile dell’Epo ha una sua peculiare identità molecolare e necessita perciò di una metodica analitica, quale quelle immunoelettroforetiche, specifica. Questo della cosiddetta “tracciabilità post-marketing” è un problema ancora aperto ed ogni ditta produttrice dovrebbe fornire, insieme al prodotto, anche le metodiche in grado di rintracciarlo per esempio nei liquidi biologici. E’ verosimile che nel prossimo futuro sentiremo parlare dei biosimili dell’Epo come surrogato di un doping ematico che, dato il relativamente basso costo, sarà di più facile reperibilità e, quindi, alla portata anche dello sport non professionistico. Ma, come purtroppo succede e come è successo con il C.E.R.A. già da tempo preannunciato come sostanza dopante, soltanto dopo il primo caso di doping “illustre” da biosimili dell’Epo, porterà il problema “a galla” e sarà, come al solito, troppo tardi! E’ evidente, da quanto detto, che assume ancora più valore la necessità, al fine di prevenire il doping ematico da eritropoietina e biosimilari di pretendere, almeno per ciascun sportivo tesserato, un “passaporto ematologico”, già più volte proposto da divesi illustri studiosi del fenomeno doping, dove registrare periodicamente le variazioni dei principali parametri del sangue nel corso della propria vita sportiva. Lo scopo è quello di individuare quelle variazioni ritenute non fisiologiche per quell’atleta e quindi sospette o per vera patologia intercorrente o, laddove si tratti di variazioni in eccesso, di sconsiderate pratiche dopanti.

Dr. Benedetto Ronci
Ematologo Azienda ospedaliera San Giovanni-Addolorata
Roma

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