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a cura del Dott. Maurizio Pugliese
Si è fatto un gran parlare, in questo periodo (scandalo del Tour de France 1998 n.d.r.), di doping, ma il modo spesso volutamente scandalistico con cui l'argomento è stato affrontato non ha sicuramente contribuito a chiarire i termini esatti del fenomeno e le sue connotazioni.
Che l'argomento non sia del tutto chiaro neppure agli addetti ai lavori (e con questo intendo gli atleti e i tecnici sportivi) è provato dal fatto capitatomi quando, raggiungendo la "mia" Nazionale nei ritiri, mi son sentito dire da un atleta: "Doc, due giorni fa mi sono fatto male in allenamento , ma non ho preso niente, neppure un'aspirina, per paura dell'antidoping." E questo avveniva ben prima del putiferio scoppiato sulla stampa quest'autunno (1998 n.d.r.). Oggi, con tutto quel che è stato detto, non crediamo che si sia riusciti ad approfondire l'argomento a beneficio della cultura degli italiani. Pensiamo che una frase così potrei sentirla ancora al prossimo raduno.
Dunque l'informazione che è stata data al pubblico è scadente, o forse non si intendeva fornirne di alcun tipo. Forse si è pensato che l'italiano medio possa bearsi, o scandalizzarsi, di quanto dicono Zeman, o Lippi, o Zaccheroni, o vattelapesca chi, ma tutto sommato, approfondire l'argomento non è parso granchè opportuno. In queste modeste paginette proveremo invece, più che a rimestare nel calderone di scandali veri o presunti, a spiegare che cosa è il doping, perché venga perseguito, ciò che c'è di vero nelle affermazioni sulla pericolosità della tale o della tal altra sostanza. Questo perché vorremmo convincere intimamente gli sportivi che ci leggono che non conviene far uso delle sostanze dopanti, mentre si può trarre giovamento da ottimi farmaci in caso di vere patologie. Non si deve aver paura di risultare positivi se si prende un antinfiammatorio dopo un trauma, specie se a consigliarcelo è stato uno specialista.
Sappiamo che non tutte le orecchie saranno disposte ad udire, ma esiste pur sempre una fascia di "possibilisti", che se raggiunti in tempo da una informazione corretta possono evitare di imboccare strade sbagliate. A loro ci rivolgiamo, soprattutto per far capire quanto sia stupido trasformare unattività che dovrebbe esser fonte di salute e di svago in unulteriore fonte di stress e intossicazione.
ORIGINI DEL DOPING E SUA DEFINIZIONE
Si può dire che il doping sia nato insieme allo sport: c'è chi sostiene che Filippide, che portò ad Atene la notizia della vittoria di Maratona, fosse drogato al punto da non accorgersi che era andato oltre le sue possibilità e che il cuore stava cedendo.
L'origine del termine è meno chiara: forse deriva dall' "oop", miscela di oppio, tabacco e narcotici somministrata ai cavalli da corsa nell' 800. E perfino la definizione di doping da parte del Comitato Olimpico Internazionale ha subito modifiche nel corso degli anni: insufficiente è, infatti, definire doping gli "agenti fisici e farmacologici che aumentano il rendimento". Perfino il miele o un massaggio potrebbero rientrare in questa definizione. Riduttiva sembra anche la definizione: "sostanze che, agendo sul sistema nervoso centrale, determinano una condizione artificiale che riduce la sensazione di fatica in allenamento o in gara". Chiaro che un farmaco con azione sull'apparato cardiocircolatorio non rientrerebbe in questa fattispecie.
Improprie anche le definizioni: "stimolanti non di impiego comune che aumentano il rendimento": nelle Ande la coca è di impiego comune, ma non per questo la si può considerare lecita. "Sostanze non biologiche di qualunque tipo, o anche fisiologiche, assunte per via normale o artificiale da individui sani al solo scopo di aumentare il proprio vantaggio in una competizione artificialmente e fraudolentemente" sembra vietare perfino l'aria.
La definizione attuale, abbastanza soddisfacente (ma che potrebbe essere suscettibile di modifiche, dato il periodo ) è "uso o distribuzione ad un atleta di certe sostanze che potrebbero migliorare artificialmente la condizione fisica o mentale, aumentandone il livello di performance". Compare per la prima volta unindicazione sulla corresponsabilità di chi somministra il farmaco doping.
Ma l'atleta, un organismo sottoposto a sforzi massimali bi o tri quotidiani (dato che si presume che un agonista debba "dare tutto", spremendosi in gara come un limone), un organismo logorato dall'uso e da una moltitudine di traumi connessi, può e deve essere aiutato. Con l'alimentazione, con la fisio-massoterapia, con eventuali integratori vitaminici ed alimentari (anche se l'attuale andazzo è di ingerire integratori anche dopo la seduta trisettimanale di aerobica o body building, col risultato, nel migliore dei casi, di fare una pipì costosissima). Con l'impiego di farmaci che curino traumi e leniscano il dolore, o che li aiutino nelle possibili patologie intercorrenti: dalla diarrea del viaggiatore alla bronchite, alle allergie e via dicendo.
Il primo punto da chiarire, e che invece molti atleti anche di alto livello (esclusi i furbastri, anche troppo preparati in materia ) sembrano ignorare, è che esistono delle precise classi di farmaci vietati, altre di farmaci di libero uso, altre ancora di farmaci ammessi solo a certe dosi, o per certe vie di somministrazione. L'elenco dei farmaci proibiti, comunque, è in continuo aggiornamento, per cui il consiglio dello specialista in materia è indispensabile. Questo perché la battaglia fra dopatori e antidoping si sposta sempre su nuovi fronti: nuove sostanze compaiono nella farmacopea, e di alcune si individua qualche particolare qualità che "potrebbe migliorare artificialmente " la prestazione. D'altro canto anche le metodiche per scoprire e dosare le sostanze vietate migliorano. E' un po' come la battaglia di cui abbiamo letto da bambini in "Dalla Terra alla Luna" di J. Verne, tra i fabbricanti di proiettili e i fabbricanti di corazze: non si fa in tempo a inventare la corazza impenetrabile, che salta fuori chi ti inventa il proiettile in grado di perforarla, e viceversa. Si pensi che fino alle Olimpiadi di Los Angeles la caffeina compariva ancora fra le sostanze ammesse, e non perché non si conoscessero le proprietà dopanti (a dosi elevate) della stessa, ma perché non si riusciva a determinare dalle urine la quantità di sostanza che l'atleta aveva assunto, e non si poteva certo squalificare tutti coloro che avessero preso anche solo un cappuccino.
Il trionfo del doping, il livello più scandaloso ed immorale, è stato forse raggiunto nel 1980, con le Olimpiadi di Mosca, delle quali dobbiamo ricordare le "nane programmate": atlete della ginnastica artistica alle quali veniva artificialmente bloccato lo sviluppo, dato che, come tutti sanno, in tale specialità sono favoriti i soggetti dal baricentro basso. Da allora l'antidoping è riuscita a risalire la china, ma nuovi fronti si sono aperti anche di recente: l'EPO, l'eritropoietina, ne è un eclatante esempio, e ci dimostra che a questa guerra non ci sarà mai fine.
Fino ad oggi il test per evidenziare sostanze proibite è stato effettuato mediante le analisi delle urine, dato che il prelievo di sangue veniva ritenuta una pratica cui l'atleta non poteva essere costretto. Come si procede ? La metodica è rigida e, se applicata alla lettera, lascia poco spazio ai tentativi di frode: l'atleta deve essere nudo dalle ginocchia alla cintola, e con le braccia scoperte, per evitare che tubicini nascosti nelle maniche o nel vestiario possano versare nel recipiente urine "innocenti". I recipienti, a tutela dell'atleta, devono essere appena lavati (è necessaria la presenza di un rubinetto nel locale dove avviene il prelievo). Vengono raccolti in presenza del medico 40-50 cc di urina, e durante l'operazione il medico non deve abbandonare con gli occhi la zona puberale dell'atleta.
Come si vede, la procedura è più che valida, se applicata.
Il campione viene ripartito in due contenitori, sigillati e contrassegnati solo da un codice, che verranno quindi inviati fermo posta, alla presenza di un notaio, ai centri Antidoping (Roma e Firenze, fino a qualche tempo fa).
Qui le urine verranno purificate e concentrate, sciolte in etere (estratto etereo) ed infine immesse nel gascromatografo, apparecchio con una colonnina di vetro contenente polvere di diatomee bagnata con paraffina. In estrema sintesi, quando si introduce l'estratto etereo, questo scorrerà più o meno velocemente nella spirale, a seconda della sua maggior o minor affinità col solvente, e giungerà nel detector, dove c'è un campo elettrico. L'estratto etereo modificherà tale campo elettrico, e tale modifica verrà registrata come un picco, particolare per ogni sostanza, e indicherà perciò la presenza di sostanze vietate.