DOVE OSANO LE BICI

Eugenio Capodacqua arranca ai piedi del Pizzo IntermesoliPubblichiamo, a distanza di tanti anni, un articolo di Eugenio Capodacqua e Leonardo Calconi apparso nel Novembre del 1986 sulla rivista "La Bicicletta" riguardante l'apertura di un itinerario per Mtb nel gruppo del Gran Sasso, nell'Italia Centrale.
Riletto oggi, con alle spalle anni di sviluppo della Mtb, fa forse sorridere nella modestia dell'impresa che descrive. Ormai la bici da montagna � arrivata ovunque ed � scesa ovunque e presentare un itinerario escursionistico di modesta entit� come questo alle soglie del 2000 pu� apparire addirittura incomprensibile. Anche il titolo dell'articolo, "Dove osano le bici", oggi appare senz'altro eccessivo.
Anche se, in ogni caso, nessuno dovrebbe dimenticare la severit� dell'ambiente montano che ne ha costituito lo scenario, ambiente che in caso di cattivo tempo non ha mai esitato ad esigere i suoi morti.
Ma allopra la quasi totalit� di coloro che leggono oggi quest'articolo non possedeva una Mtb, molti non sapevano neanche cosa fosse, alcuni non erano nemmeno nati. La rivista "La Bicicletta" pubblicava giusto quell'anno i primi articoli in assoluto sul nuovo fenomeno e sulle strane bici adoperate.
Dunque concedeteci senza critiche severe questa rivisitazione, per far conoscere ai pi� giovani cosa fosse allora la Mtb e per far rivivere ai "vecchi" come noi i pioneristici tempi dei primi "pazzi" a cavallo di quelle "buffe" bici.

DOVE OSANO LE BICI
tratto dal numero 35, Novembre 1986, de "La Bicicletta"
testo e foto di E. Capodacqua e L. Calconi

Quando mio cognato Leonardo lanci� l'idea, fra me e me pensai che fosse la solita "boutade" che non avrebbe avuto seguito.
Il Gran Sasso in bicicletta ? Roba da circo.
Conoscendo, per passate esperienze, quanto sia duro anche semplicemente passeggiare in montagna pensavo gi� alla fatica che avrebbe scoraggiato chiunque. Da una parte �sua maest� ombrosa e scontrosa, la montagna pi� alta dell�Appennino centrale, spartiacque di venti e tempeste che si affollano dai due mari, Adriatico e Tirreno; i suoi territori scoscesi, le sue rocce instabili, i suoi ghiaioni. Dall�altra noi piccoli uomini, con le nostre buffe biciclette.
Ce l�avremmo fatta?
Le incognite cominciarono subito ad affollare la mente e solo il desiderio della sfida mai tentata con questi mezzi particolarissimi spingeva a limitare difficolt� e intoppi. Come avremo affrontato i pendii pi� ripidi? Saremmo riusciti a pedalare? E, in caso contrario, come avremmo trasportato il nostro mezzo? E ancora: le bici avrebbero resistito alle intense sollecitazioni? I freni sarebbero stati all�altezza? Che tipo di materiale avremmo dovuto portare come riserva? Sarebbe bastato il solito ricambio anti-foratura?

La traversata bassa del Gran SassoFra la valutazione del tracciato, tutto tra i 2.100 e i 1.500 metri d�altitudine, necessit� di portare poco peso appresso, timori di dover �bivaccare� in quota per contrattempi vari, valutazione dei �punti critici�, l�impresa prendeva gi� corpo. L�idea, si doveva ammettere, era affascinante: una sorta di �prima assoluta� del Gran Sasso in bici, una cosa mai tentata prima, almeno in mtb: dal piazzale del famoso Osservatorio davanti all�albergo di mussoliniana memoria, fino a Prati di Tivo, scavalcando la impervia �sella del monte Aquila� a quota 2.335 m e poi gi�, attraverso il rifugio Garibaldi e la sassosa Val Maone.

Cosa occorre per andare in montagna con la bici ?

Quindici chilometri di marcia e pedalata fra sassi, rocce, sterpaglie, strapiombi e, su tutto, l�incubo del tempo che, qui, pu� imbizzarrirsi d�improvviso, anche nel bel mezzo di una splendida giornata d�estate.
Per �saggiare� il terreno, e, soprattutto, per cercare la �pista� giusta eccoci, la settimana prima sul teatro delle nostre successive gesta ciclistiche.
Senza bici.
Si trattava di verificare quanto e come sarebbe stato possibile pedalare su impervi sentieri la cui pendenza mai era stata affrontata su due ruote. Si trattava di capire e stabilire come sarebbe stato possibile proseguire nei tratti assolutamente non pedalabili. Come �imbragare� la bici sullo zaino nei tratti difficili, dove appoggiare le ruote nei punti in cui il terreno appariva meno saldo. Una �spedizione� a piedi che ci port� via un�intera giornata. Al ritorno si era fatta strada la fiducia. Leonardo, un passato recente di appassionato ciclista, nonch� alpinista provetto (ai suoi tempi istruttore del Club Alpino) consigli� di ripiegare per prudenza su un tracciato meno ostico. Era possibile almeno tentare. Questo concludemmo alla fine di una intensa giornata di esplorazione. Zaino leggero e con l�indispensabile, una mini-scorta di ferri e di attrezzi per le bici, due camere d�aria di riserva ciascuno, questo il ristretto bagaglio preventivato. Poi, alla fine, venne il �D-day�.

Quel giorno il sole era gi� forte e splendente di prima mattina. Maria Elena, la graziosa moglie di Leonardo, gli occhi ancora appiccicati dal sonno, era l�, accanto al suo �bombardino�, la Renault 4, meravigliosa vettura �ognitrasporto� rossa, inebetita nel vederci caricare sul tetto le due �mountain-bikes�, una Rossin e una Freschi che aveva appena superato un probante test sulla rivista e che la redazione ci aveva messo a disposizione. Avevamo risolto anche il problema del ritorno da Prati di Tivo: ci avrebbe pensato Maria Elena sobbarcandosi il noioso periplo del Gran Sasso in auto per venirci a riprendere sul versante teramano.
Era, infatti, impensabile ripetere il tracciato ideato a ritroso.

La strada per Campo Imperatore � bella, asfaltata, assai panoramica. Da Assergi in poi, � anche molto nota; si sale a Fonte Cerreto, dove arriv� una tappa del Giro 1985, e di l� ancora su, verso quota 2.130, di Campo Imperatore.

Il decalogo del ciclo alpinista

Dal piazzale, una volta smontate e preparate le bici, ci dirigiamo verso l�Osservatorio lasciandolo sulla destra e, seguendo il sentiero ghiaioso, pedaliamo sempre pi� faticosamente: ora sul sentiero, ora sul prato fino alla biforcazione che a mezza costa divide il tracciato: a sinistra, si va al Rifugio Duca degli Abruzzi, a destra a Sella di Monte Aquila. Questo � il sentiero che percorriamo; � tutto a mezza costa, facilmente pedalabile anche con un rapporto non cortissimo (38x23 o 39x24) ma � un po� pericoloso. Se si perde l�equilibrio, si cade nei ghiaioni di destra in alcuni punti molto ripidi e profondi. Quindi raddoppiamo l�attenzione e... ci pentiamo di non esserci portati il casco. Con poche soluzioni di continuit� raggiungiamo pedalando le rampe finali del sentiero. Siamo sotto la Sella del Monte Aquila, scendiamo dalle bici che ci issiamo sulle spalle con La bici imbragata sulle spallele imbragature, che si riveleranno eccellenti. E' bastata una semplice �fettuccia� da rocciatore, sufficientemente larga, per fissarle bene allo zaino, attraverso un �giro� particolare. Le rampe nella parte finale sono molto ripide e tormentate; abbiamo un po� di difficolt� a girare con la bici di traverso sulle spalle, mentre sotto i piedi il vuoto aumenta di pari passo con la nostra attenzione a non cadere, perch� qui non si deve cadere.

Dopo circa mezz'ora la nostra fatica � premiata: raggiungiamo Sella di Monte Aquila a 2.335 metri e ci si apre un paesaggio stupendo con lo sfondo del Corno Grande, paesaggio che anche dopo molti anni di alpinismo mi entusiasma ancora in quanto appare improvviso e bellissimo. Turisti e appassionati che ci vedono l� con le nostre strane biciclette sgranano gli occhi. �Questa s� che � passione� dice uno. Gli altri sono intorno a curiosare sui mezzi e a chiedere, meravigliati. Dopo una breve sosta dedicata ad alcune foto inforchiamo di nuovo la bici per seguire il sentiero, che � segnalato e che, a sinistra, porta a rifugio Garibaldi. D�ora in poi, fino alla fine della Val Maone, sar� un�unica ed indimenticabile discesa in uno splendido ambiente di montagna, bello e severo, ma, non dimentichiamolo, anche pericoloso, se il tempo mette al brutto.
Questa del tempo infatti � l�unica preoccupazione che ci attanaglia anche se la giornata � tersa e serena. I cambiamenti di umore del Gran Sasso sono frequenti, repentini e violenti (anche in piena estate il termometro pu� scendere sotto zero in pochi minuti con venti di oltre cento chilometri orari) e una volta raggiunto Campo Pericoli (il nome � tutto un programma!) l�orientamento pu� risultare, in caso di nebbia e maltempo, impossibile anche per alpinisti esperti se non
si hanno carta e bussola e se non le si sa usare con profitto. Bivaccare una notte perch� colti dal maltempo improvviso e non si sa pi� che pesci prendere � del resto, alEugenio Capodacqua sulla prima Rossin da Mtb Gran Sasso, cosa che non desta stupore. Il maltempo improvviso e violento � stata la causa di alcune tragedie di cui la pi� nota � quella degli alpinisti Cambi e Cicchetti, morti nel febbraio del 1929, l�uno a poche ore dall�altro, su quello che, col bel tempo, altro non � che un comodo sentierino.
Comunque il tempo � stupendo e sembra graniticamente stabile; l�ombra nei pensieri se ne va presto e resta la gioia di questa piccola e stupenda avventura.

Torniamo sul nostro sentiero, stretto ed incassato nell�erba, lo seguiamo facilmente prima in discesa e poi quasi in piano fino alla biforcazione segnalata sulla sinistra per il Rifugio Garibaldi. Lavoriamo molto di freno, tenendoci in �fuorisella� per migliorare l�equilibrio sulle asperit� e nelle pendenze maggiori. Uno stress che le bici sopportano bene. Dobbiamo fare attenzione al tracciato, perch� la segnalazione (dei sassi colorati con strisce gialle e rosse) � poco visibile e le tracce di sentiero per il �Garibaldi� sono quasi inesistenti. Lasciato, infatti, alle spalle il sentiero che da Sella di Monte Aquila porta alla salita �normale� al Corno Grande, non abbiamo di fronte che prati ripidi e solo qualche �palina� indica la strada per il rifugio, che appare col suo pluviometro all�ultimo momento.
Prati da fare tutti sui pedali con il massimo controllo della velocit� fino alla strettoia che porta al Garibaldi.
Al termine della prima �picchiata�, lo troviamo inaspettatamente aperto.
Questo rifugio, a 2.230 metri, di propriet� del Club Alpino dell�Aquila, � normalmente incustodito e chiuso a chiave. Trovarci i simpatici soci aquilani � un grande piacere. Sono qui perch� hanno intenzione di trasformare il rifugio da incustodito a custodito e stanno cominciando a lavorarci su, ma le nostre bici li distraggono per un bel po�: sono interessatissimi a questo strano modello e tra un paio di bicchieri di vino, qualche foto e tante richieste d�informazioni, se ne va via quasi un�ora. Dobbiamo ripartire perch� non abbiamo parametri di riferimento sulla �fattibilit� della traversata e sui tempi, necessari per questa traversata. Accorgersi troppo tardi che non si pu� andare avanti e bisogna proseguire con la bici sulle spalle potrebbe essere un�esperienza poco piacevole.

Tra grossi massi, una traccia di sentiero scende assai ripida verso la Val Maone per scomparire quasi subito e proiettarci in un ambiente severo e maestoso, che incute timore. Siamo nel cuore del massiccio, chiusi alle spalle dal Corno Grande di quasi 3.000 metri, di fronte al Pizzo Cefalone di 2.533 metri. Sulla destra la punta Intermesoli che supera i duemilaseicento. A sinistra in alto, lontano lontano verso sud-est, un piccolo punto nero tra terra e cielo: � il rifugio Duca degli Abruzzi, lontano ore di marcia, unico segno della �civilt�, che ricorda la presenza dell�uomo in questo paesaggio selvaggio e deserto molto simile a come si pu� immaginare un girone dell�inferno dantesco.
All�eventualit� di trovare il maltempo, qui, � meglio non pensare...

Pedaliamo bene adesso spesso seduti, anche se i polsi e le mani, pur protette dai guanti, cominciano a dare segni di stanchezza evidente per i continui sobbalzi. Va tutto bene, per�, fino all�imbocco della Val Maone dove il terreno diventa sempre pi� accidentato: cominciano le acrobazie ed i �numeri� da cross.
Proviamo tutti i rapporti disponibili, persino il 28 x 34, che addirittura �demoltiplica� la pedalata, essendo inferiore alI�1:1. Per far compiere un giro alle ruote occorre effettuare pi� di una �rivoluzione� dei pedali. Ruote, gomme e cerchi non sono risparmiati da sassi e ghiaioni. Un test davvero severo. Non manca persino qualche caduta specie per le buche coperte dall�erba ed anche un tratto d�arrampicata con la bici in spalla. Dobbiamo stare attenti a non spaccare i cerchi o una pedivella, perch� altrimenti sarebbe un guaio; la fine della traversata � ancora lontana.
Cos�, marciando e pedalando, passiamo sotto l�imponente Intermesoli ed arriviamo al caratteristico Sassone che chiude la valle. � un�enorme pietra che getta finalmente un po� d�ombra. Ormai il pi� � fatto, ma per l�acqua c�� ancora un po� da pedalare (e camminare).
Infatti occorre tener ben presente che lungo tutta la traversata non c�� un goccio d�acqua, neanche al �Garibaldi�, se non si raggiungono le sorgenti di Rio d�Arno, per le quali dal Sassone c�� ancora una mezz'oretta di cammino tutt'altro che agevole.
Controlliamo le bici e notiamo con preoccupazione che hanno subito ambedue un processo generale di allentamento di tutto ci� che � avvitato, specie lo sterzo che non possiamo serrare senza chiavi; le sollecitazioni, nell�ultimo tratto, sono state assai violente e speriamo vivamente che le bici non cedano proprio adesso. Non si romper� nulla, alla fine, ma una volta a Roma constateremo di non avere pi� un pezzo che sia ben serrato al telaio: tutto si � allentato e ci� pone il problema di un fissaggio particolare degli elementi, realizzabile forse con bulloneria autobloccante e collanti.

Alle sorgenti il tuffo nell�acqua, qui assai buona, � totale; quella delle quattro borracce ormai era finita da un pezzo. Per fortuna che la sete era stata tenuta lontano dal prudente ricorso ad una borraccia con zuccheri e sali minerali (Ergovis), una soluzione indispensabile soprattutto per chi suda molto (e qui, in montagna, c�� da sudare, eccome). La traversata vera e propria � finita; non resta che seguire il largo sentiero che porta ai Prati di Tivo. Dovremo riguadagnare parecchi metri di quota, quindi a tratti ci troviamo di fronte ad impennate notevoli. Con il rapporto pi� corto che abbiamo, il 28 x 34, siamo al limite del ribaltamento; bisogna pedalare seduti cercando di distribuire bene i pesi e di non tirare sul manubrio, ma non � facile. Oltre un certo limite la ruota anteriore s�alza e si scende di sella.

Un boschetto bellissimo e assai fresco lascia alle spalle la VaI Maone e porta ai Prati di Tivo, dove ritroviamo Maria Elena. Anche qui frotte di turisti attorno alle nostre bici. Tutti a chiedere e a domandare. Ma ora non abbiamo pi� tanta voglia di trattenerci a colloquio. E' l�una, sono passate cinque ore, di cui tre e mezza effettive di traversata, e abbiamo fame, tanta. Da Aladino, il ristorante pi� noto agli alpinisti che ai turisti, non ci neghiamo nulla; siamo soddisfatti e gi� da ora i commenti si sovrappongono alle prime idee per una prossima avventura, pi� grande e pi� bella.


TUTTO CIO' CHE OCCORRE

Vestiario: 
dato il particolare stile da adottare, praticamente sempre in piedi sui pedali con frequenti sali e scendi, e l�ambiente severo nel quale si passa, meglio lasciare nell�armadio la tenuta da strada. Una tuta pesante va benissimo mentre ai piedi � d�obbligo avere calze e pedule da escursionismo, se non si vuole correre il rischio di qualche brutta distorsione o peggio. Nello zainetto deve esserci un maglioncino e una Kway, giacca  e pantaloni, anche se alla partenza si scoppia di caldo. Consigliabili il casco e guanti. Tutto ci� presupponendo che affrontiate questa traversata nel periodo estivo, altrimenti il discorso cambia e di molto.
 Zaino: 

per capienza e forma � ideale uno zainetto tipo Jolly III dell'Invicta: � comunque necessario che abbia la cinghietta ventrale per evitare i basculaggi durante le acrobazie.

Materiali da montagna:

indispensabil� una carta topografia al 25.000 una bussola e la capacit� di usarle; probabilmente rimarranno lo zaino, ma se cambia il tempo... Se possedete un altimetro e lo sapete usare portatelo. Sempre indispensabili un piccolo pronto soccorso, una coperta termica d�emergenza, una torcia con batteria nuova, nella disgraziata ipotesi d�incidente o di grave ritardo. Senza luna e senza luce in montagna � impossibile procedere. Gli occhiali da sole sono utilissimi ma non devono necessariamente essere da alta quota.
Imbragatura per la bici: 

si autocostruisce con due spezzoni di nastro per alpinismo da due pollici lunghi circa due metri l�uno, due fibbie Fastex a tridente sempre da due pollici e quattro ribattini per tessuti, in modo da creare due spallacci volanti da fissare al telaio, l�uno nella zona dello sterzo e l�altro in quella del movimento centrale che deve essere rivolto con la guarnitura all�esterno.
Attrezzature fotografiche: 

se possedete una reflex ad ottiche intercambiabili il corredo ideale � costituito da un 28 mm e da un medio zoom 75-150 mm. Indispensabili i filtri Uv per eliminare le dominanti in quota. Per la sensibilit� del film al massimo la 100 Iso dato che la luminosit� � sempre alta.
Ferri e ricambi: 

leve per le gomme e chiavi, possibilmente anche quelle per lo sterzo e il movimento centrale. Una camera d�aria di scorta, pezze e mastice, pompa corta da tenere ben fissa al telaio o, meglio, nello zaino, altrimenti salta via alla prima buca. Per la verit� sarebbe bene avere anche le pedivelle di scorta e cinque o sei raggi col tiraraggi, vedete un po' voi...
Cibo e bevande: 

se praticate il ciclismo non avete bisogno di consigli, ma ricordate che l�acqua la potete trovare solo alla partenza e alla fine della traversata, quindi fate bene i vostri conti.


IL DECALOGO DEL CICLO ALPINISTA

  1. Partite presto per non farvi cogliere dalla notte a causa di contrattempi.
  2. Non dimenticate nulla a casa di ci� che � indispensabile.
  3. Controllate sempre le vostre azioni per non mettervi in pericolo.
  4. Non partite mai con tempo incerto o brutte previsioni.
  5. Rispettate la montagna; non sporcate e non fate rumore.
  6. Non perdete mai di vista il vostro compagno e soprattutto non avventuratevi da soli se non siete veramente esperti.
  7. Lasciate notizia a qualcuno della vostra meta e del vostro percorso.
  8. Non sopravvalutatevi; se prima della met� percorso avete esaurito le forze tornate indietro.
  9. Se vi smarrite non perdete la calma: fermatevi, consultate carta e bussola e ripartite solo quando sapete dove andare.
  10. Non mettetevi nei guai; comunque, se ci siete e non potete proseguire, fermatevi e preparatevi ad attendere i soccorsi che sicuramente arriveranno se qualcuno sa dove siete. Il bivacco sar� il male minore.


EUGENIO CAPODACQUA,
giornalista e ciclista, 
� attualmente direttore di SPORTPRO
[email protected]
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LEONARDO CALCONI
architetto e alpinista, 
� attualmente webmaster di SPORTPRO
[email protected]